Mark Cooper

Fotografo - Artista

 

MARK COOPER nasce a Carlisle nel 1965 e cresce a Keswick nel Lake District in Inghilterra, vive per diversi anni a Londra e compie numerosi viaggi in Medio Oriente e in Africa settentrionale dove ha modo di approfondire la sua ricerca personale da un punto di vista umano e artistico. Si stabilisce in Italia, in Piemonte, nella provincia di Alessandria dove vive e lavora dal 1993.

Una passione iniziata fin da piccolo quando, all’età di sette anni, ha ricevuto come regalo da sua nonna una macchina fotografica Kodak 35 millimetri, incredibile come un semplice clic sia in grado di fermare il tempo in un istante tanto da realizzare e comprendere che da grande sarebbe diventato un fotografo straordinario.

Fotografo e artista, davvero un binomio interessante e dalle molteplici sfumature, il suo rifiuto per le regole imposte e per la realtà fedelmente rappresentata, lo portano ad esprimersi nei suoi lavori in un’esaltazione dei propri sentimenti trasformandoli in forme pure, dagli accentuati cromatismi e forme mimetiche per sfociare nell’Astrattismo puro.

Parlando con Mark, mi sono resa conto di quanto la realtà riveli per lui aspetti inediti ed emozionanti attraverso una ricerca fotografica che ha preso forma e progettualità in Italia attraverso il lavoro “Earthscapes- L’arte del paesaggio”, nel quale immagini frutto di un’accurata selezione sono le protagoniste di un processo creativo davvero molto suggestivo. Una scelta che avviene dall’alto, una postazione speciale, a mille metri di altezza oppure a cinque centimetri di distanza perché l’impatto col mondo è principalmente un impatto visivo ed è da lì che bisogna osservare ed indagare per trovare il proprio punto di vista e sognare ad occhi aperti. Adrenalina ed emozione fanno parte di questi momenti risultati invisibili nella quiete dell’immagine finale. Una sfida per ottenere un equilibrio tra calma e caos alla ricerca dell’essenza del paesaggio.

Questo lavoro così attento e scrupoloso lo ha portato ad ottenere due grandi riconoscimenti qui in Italia: il titolo di “Alfiere del paesaggio” ricevuto dall’Osservatorio del Paesaggio per l’Astigiano e il Monferrato nel 2012, per la straordinaria opera di divulgazione svolta in Italia e all’estero sul patrimonio paesaggistico e sui paesaggi viticoli del Piemonte permettendo la loro iscrizione alla Lista del patrimonio Mondiale UNESCO e infine, il premio Davide Lajolo- Il Ramarro. L’importanza di questi premi evidenziano l’obiettivo di Mark, ovvero quello di conferire un’identità visiva a questo luogo e la possibilità di essere riconosciuto nel mondo.

Le sue opere sono il frutto di esperienze personali, delle sue emozioni, del suo viaggio attraverso la vita dalla quale trae ispirazione.

Un grande contributo ed influenza ha avuto nei suoi riguardi la celebre figura di Ando Gilardi, fondatore della Fototeca Storica Nazionale, grande uomo che per la prima volta nella sua vita ha delineato una critica positiva per quanto riguarda un lavoro fotografico, quello di Mark Cooper.

Un grande uomo che ha contribuito molto alla crescita artistica e soprattutto personale dell’artista insegnandoli ad essere prima di tutto un uomo libero e senza confini, privo di schemi mentali e senza essere categorizzato per forza con altri artisti, ad evolvere continuamente, ma il più grande insegnamento di vita è stato quello di essere semplicemente Mark.

I successivi lavori “Elements of the Next Dimension” e “Urban Jungle” sono ispirati proprio a questo rapporto di amicizia nato con Ando Gilardi, che ha spinto l’artista ad andare oltre alla superficie dell’immagine stampata ed ad usare la macchina fotografica come uno strumento per trasformare la realtà che noi percepiamo come spinta per l’immaginazione andando aldilà dei confini della fotografia artistica.

“Elements of the Next Dimension” sono lavori che identificano una vera e propria caduta libera nel mondo, nel quale dominano colore e caos. Tutto questo è nato osservando tutto ciò che lo circonda attraverso una lente macro ed entrando direttamente nel paesaggio camminando per le vie di Milano e facendo rivivere “angoli dimenticati”, luoghi che riversano in uno stato di abbandono e non più oggetto di attenzione da parte delle persone. Poi, il processo continua in studio con l’accurata selezione delle immagini e questi angoli abbandonati si trasformano in colorate stampe di grande formato, spingendo l’immagine fotografica ad una dimensione successiva nel quale ruggine e pareti rovinate possono uscire allo scoperto ed essere messe al centro del processo creativo. E’ il minimo dettaglio rivelato che suscita interesse all’argomento, un’importanza che prima non esisteva all’interno del quale si tratta di trasformare il contenuto in qualcosa di emozionante, eccitante e seducente un’entità che non riesce a manifestarsi da sola e che ora viene legittimata e riconosciuta come capolavoro d’arte.

Queste fotografie astratte hanno un fascino e un’attrattiva incredibile, fanno parte del qui e ora, sono immediate e dall’incanto facile, agiscono direttamente sul paesaggio circostante e su ciò che ci circonda, modificandone l’aspetto mediante interventi temporanei o facendo uso di materiali naturali. L’azione intrapresa dall’artista nei suoi lavori è affidata agli elementi costitutivi del processo creativo legati al fattore tempo, protagonista positivo e sospeso in tutti i suoi lavori.

Le opere di Mark coinvolgono i sensi, fanno emergere emozioni, fanno nascere in ognuno di noi pensieri e domande per offrire un ricordo da tenere dentro, da custodire e fare nostro anche quando l’opera non è più davanti ai nostri occhi perché non ci sono più regole che appartengono al mondo convenzionale della fotografia, ma libertà di espressione e di pensiero capaci di trasformare una semplice mostra in puro spettacolo.


Giulia Zanesi, Curatrice d’arte

 

Le fotografie di Mark Cooper

Le fotografie di Mark Cooper documentano una svolta importante nella storia dell’Arte Contemporanea, dove la Fotografia è ancora considerata una intrusa. Tenteremo l’impresa difficile di motivarlo. Al principio del secolo scorso la cultura e la pratica millenaria della Figura, furono sconvolte da una rivoluzione: gli artisti si ribellarono alla tradizione, al codice millenario che imponeva di rappresentare nelle loro opere nel modo più fedele possibile la realtà così come si vede: il “quadro”, se non copiava fedelmente il soggetto non era “artistico”. 

La ribellione degli artisti si diffuse in un tempo fulmineo in tutti i paesi. Un nuovo dipingere chiamato Astrattismo nato dal rifiuto di essere costretti a rappresentare la realtà per esaltare i propri sentimenti, permise di immaginare il pensiero non solo attraverso mimiche forme, ma anche tramite linee pure e puri colori. Così l'Artista per i cento anni trascorsi da allora ha infine creduto di liberarsi con l’Astrattismo dal dominio dalla Natura. Questo - nei fatti concreti - nel Mercato come nei grandi Musei, per dirlo nel modo più semplice, chiudeva e ha chiuso le porte alla Fotografia e al Fotografo, che sono vissuti e vivono se non di elemosinate critiche, quasi. 

Nei suoi cento anni di storia l’Arte Astratta ha fatto nascere migliaia di opere, volendo ricordare solo i capolavori appesi nei più grandi Musei, dove se incontri una fotografia è una assurda sorpresa: su questi capolavori centinaia di storici, critici e anche psicologi analisti e analisti diversi hanno scritto milioni di libri, di saggi e di testi scientifici. L’arte Astratta è stata la Genesi di un universo culturale 'Copernicano' dove al centro non era più la Natura, il Reale, ma quello che prima di essere Immagine non esisteva. 

Ora succede qualcosa di molto interessante: e non abbiamo paura di scrivere storico. Succede che un bravo fotografo di nome Mark Cooper, rimette la realtà che vediamo con gli occhi, e poi la Natura, in quello che è stato da sempre il suo posto: al centro dell’Universo dell’Arte. Poiché le parole di cui disponiamo restano quello che sono nei loro significati anche per raccontare gli eventi nuovissimi, ecco che di un tratto diventano come monete uscite dall’uso; ed ecco, il copernicano ritorna tolemaico. 

Le fotografie pure di Mark Cooper sono classici esempi dell’Astrattismo restando Fotografie del reale, e ci piace chiamarlo miracolo quanto meno linguistico.

Ando Gilardi

Storico della fotografia, fondatore della Fototeca Storica Nazionale

 

La Terra Vista dalla Luna

Al principio c’è, altrettanto con certezza quanto inconsapevolmente, la stessa necessità che ha portato allo scatto della celebre fotografia Élevage de poussière, particolare del Grande Vetro di Marcel Duchamp (Rrose Sélavy) “catturato” a New York nel 1920 dall’obiettivo di Man Ray, che di Duchamp fu spesso un altro occhio (il terzo occhio?). La didascalia che ne accompagna la pubblicazione sul numero 5 della rivista “Littérature” (Ottobre 1922) diretta da André Breton e Philippe Soupault aiuta l’avvicinamento a questa immagine così indecifrabile in cui l’opera di Duchamp è completamente trasfigurata. "Ecco il dominio di Rrose Sélavy/ com’è arido- com’è fertile -/ com’è gioioso – com’è triste". Cui segue la preziosa indicazione: "Veduta ripresa in aereo da Man Ray, 1921".

Non si badi all’inesattezza della data (la fotografia è stata effettivamente scattata nel 1920), ma alla sostanza del discorso. L’opera di Duchamp, irriconoscibile, si rivela come un lontano continente da esplorare dall’alto. L’ambivalenza sembra esserne la caratteristica principale: così arido e così fertile, così gioiosocosì triste.

Questo, e non quello della più ingenua e “meccanica” aeropittura futurista, è il climax che i lavori di Mark Cooper portano negli occhi di chi guarda. Le sue fotografie (tutte aeree) si basano sull’allontanamento come condizione necessaria alla visione. Da vicino manca la prospettiva, la profondità necessaria al vedere. Il suo occhio volante taglia e seleziona frammenti che compongono una campionatura del territorio, essi assomigliano a brani astratti di pittura segnica, a porzioni di superfici regolate da pattern in cui regna un silenzio metafisico. 

Le Langhe in cui Cooper vive ormai da molto tempo sono il territorio privilegiato per le sue escursioni, ma non si tratta in nessun modo di un discorso campanilistico, piuttosto di una messa in pagina, di una sottolineatura della bellezza della natura, che sia spontanea oppure ordinata dall’agricoltura umana. Le opere contengono indubbiamente un richiamo indiretto alla responsabilità collettiva nel disegnare, nel segnare, nel ferire il nostro pianeta che, Cooper sembra dire, visto dall’alto, è più bello di tutta l’arte messa insieme.

Elisabetta Longari

Insegna Storia dell'arte contemporanea all'Accademia di Belle Arti di Brera, Milano